“Violenza di genere” : un problema culturale.
A tutte le donne, Alda Merini
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.
La mitologia greca è costellata di numerosi mostri favolosi, dalle sembianze umane ed animali e dalle caratteristiche più diverse.
Tra essi, figura il gigante mostro marino dal nome Hydra, serpente acquatico della palude di Lerna, con sette e più teste (in alcuni testi anche cento), che se recise avevano la forza di ricrescere e, pertanto, di renderlo un pericoloso e temibile nemico.
Volendo, dunque, offrire una puntuale definizione della “violenza di genere”, stante i copiosi lemmi impiegati, sino ad oggi, per darne una ragionevole spiegazione, tale fenomeno può sicuramente essere paragonato alle sette e più teste del serpente Hydra: sofferenza, coercizione, minaccia, lesione, discriminazione, privazione della capacità di autodeterminazione e della libertà, abuso, morte. Un vero e proprio mostro dalle mille potenzialità.
Le Nazioni Unite, in occasione della Conferenza Mondiale sulla Violenza contro le Donne, tenutasi a Vienna nel 1993, l’hanno rubricata quale “ogni atto legato alla differenza di sesso” capace di provocare un danno fisico, sessuale, psicologico ed economico.
La Convenzione del Consiglio d’Europa, sottoscritta ad Instabul l’11 Maggio 2011, ne ha individuato la radice nella disuguaglianza di genere, de jure e de facto, tra uomini e donne, condannandone espressamente ogni manifestazione, tra le quali la più ricorrente quella domestica, riconoscendone, pertanto, la natura strutturale di “meccanismo sociale”, in virtù del quale le donne vivono in una posizione subordinata rispetto agli uomini.
Analisi politiche e studi psicologici hanno confermato, infine, quanto tale forma di violenza sia naturalmente diretta contro la donna in quanto tale e la colpisca “in modo sproporzionato”, perorata e sostenuta da una concezione della società fondata su ruoli, comportamenti, attività considerati “ tipicamente da uomini” e frutto di una idea, tanto sommersa quanto consuetudinaria, di superiorità del genere maschile.
Impressionano, pertanto, le conseguenze di tale costumanza: secondo un rapporto pubblicato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità – World Health Organization, l’abuso fisico e sessuale è un problema sanitario che colpisce un terzo delle donne del mondo, costituendo, dunque, un fenomeno di proporzioni globali enormi.
Profonda preoccupazione destano le numerose forme di violenza diffuse nel mondo, alle quali donne e ragazze sono spesso esposte: molestie sessuali, stupri, abusi psicologici, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili.
Circoscrivendo l’indagine all’Italia, poi, i dati Istat certificano che il 31,5% delle donne italiane ha subito, nel corso della propria esistenza, una forma di violenza fisica o sessuale, tra le quali, le più gravi e brute, quelle esercitate da partner o ex; il rapporto Istat 2018 sulle vittime di omicidi, dimostra, difatti, che il 54,9% degli assassinii di donne è stato commesso da compagni o ex partner. Per il 41,7% delle donne, la causa scatenante della violenza subita è ravvisabile nell’interruzione della relazione con il partner violento. Per un terzo delle adolescenti italiane intervistate, la prima esperienza sessuale è stata imposta.
A ciò si aggiunga che, secondo le recenti risultanze diffuse dal Ministero della Salute, nel periodo intercorrente tra il 1 Marzo ed il 16 Aprile 2020, si è registrato il 75% in più di chiamate al numero antiviolenza rispetto al medesimo periodo del 2019, sino a raddoppiare ( + 119,6%) a Giugno 2020, evidenziando, dunque, quanto la violenza di genere trovi la sua principale esternazione tra le mura domestiche.
Una vera e propria sanguinosa mattanza, che non può lasciare indifferenti.
Apprezzabili s’appalesano, difatti, gli sforzi continui delle autorità orientati alla prevenzione della violenza e della discriminazione di genere, con l’attuazione di misure di protezione e l’inasprimento delle sanzioni e delle pene, considerato il perentorio monito della Corte di Strasburgo ad una fattiva cooperazione internazionale.
Ciò, tuttavia, sembra non bastare.
Stante il costante aumento delle violenze perpetrate in danno alle donne (88 vittime al giorno, una ogni 15 minuti solo in Italia), occorre, forse, interrogarsi su quanto incida, sul diffondersi inesorabile del fenomeno, una profonda e recondita “cultura” della violenza.
Non solo per l’altro genere.
E, dunque, su quanto sia indispensabile arrestarla, non solo nelle sedi istituzionali.
L’incancrenirsi del linguaggio, l’imbruttimento delle relazioni sociali, la disaffezione ai sentimenti, costituiscono, di certo, validi ausili al propagarsi della brutalità ed al proliferare della discriminazione. Così come l’erroneo convincimento di far parte di una precostituita società di ruoli, status predefiniti e negativi stereotipi di categoria, da accettare così com’è “senza potere far nulla” per cambiarla.
Mostri che ciascuno di noi è chiamato a combattere.
Anche il terribile Hydra, infatti, venne sconfitto da Ercole, in una delle sue dodici fatiche: l’eroe greco utilizzò lo stratagemma di bruciare la ferita lasciata da ogni testa mozzata, al fine di impedirne la ricrescita, e di sotterrare l’unica testa immortale, ponendovi sopra un imponente e pesante masso.
Possiamo, forse, prenderne spunto.
Recidendo la ferocia, anche solo verbale, dalle nostre relazioni, che ci coinvolgono seppur quali passivi spettatori, e superando quell’arcaica quanto vetusta idea di supremazia di alcuni rispetto ad altri, diverremo, di certo, promotori di una nuova cultura inclusiva, fautori attivi di una nuova “cultura di parità”.
Saremo cambiamento inarrestabile.
E sulla violenza di genere, così, apporremo un imponente e pesante masso, che nessuno potrà rimuovere più.
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